La comunicazione di brand è un argomento quantomai ampio, touchpoint di marketing, arte e sociologia e declinabile all’infinito in ogni prodotto del brand stesso.
Prescindendo dai tecnicismi, si pensi che la pubblicità di moda debba condensare in pochi secondi la comunicazione di prodotto con l’immaginario evocativo cui esso si associa, per arrivare al target di riferimento.
Ci sono difatti campagne pubblicitarie che, combinando alla perfezione gli elementi suddetti, attraversano i decenni e la cui origine diventa elemento culturale.
Nel 1982 Bruce Weber, glorificato fotografo prediletto di madamoiselle Carine Roitfeld, realizza uno scatto a colori, in una location mediterranea, del fisico perfetto del campione olimpico Tomàs Hintnaus, in cui il prodotto è poco più di un dettaglio nell’immagine: uno slip da uomo di colore bianco, con la firma Calvin Klein.
A distanza di decenni, con innumerevoli testimonial i cui corpi si sono avvicendati sugli spazi espositivi di tutto il mondo, il concept di base non è cambiato: sdoganato il concetto di intimo griffato, silenzioso e discreto elemento quasi di contorno a ritratti in bianco e nero di fisici più o meno perfetti, è approdato nei nuovi canali digitali, adattandovisi: non più, o meglio non solo, modelli e sportivi, ma persone comuni, aggregate dall’hashtag “#mycalvins”.
Ciò che è cambiato ben poco è proprio il prodotto in sé: le collezioni si sono arricchite di altri colori e rare fantasie, nulla più.
Poco è cambiata anche la comunicazione da parte del brand stesso, che alterna servizi fotografici colorati a scatti in bianco e nero.
La vera forza comunicativa del prodotto è dunque il predetto mix di marketing, arte e sociologia: l’evocativo immaginario di un erotismo semplice.
Un erotismo che non ha bisogno di sovrastrutture, di scenografie imponenti o abbinamenti arditi, tantomeno di ricorrere alla volgarità o scadere nella pornografia, ma che proprio per questo è realistico e reale al contempo, e non perde il proprio valore nel tempo.