Gli antichi Greci hanno coniato l’abusata espressione panta rei per ricordarci che tutto scorre, ed il mondo del fashion ha rielaborato il brocardo, attualizzandolo in tutto ritorna, bardando così di basi filosofiche la ricerca nei trend del passato, da rielaborare nel presente.

Acquista dunque una propria nobiltà la riscoperta, in questa stagione, di una delle subculture meno conosciute del ‘900, quella degli Zazous.

Questa subcultura, etica ed estetica al contempo, nasce in Francia, alla fine degli anni ’40, come reazione al rigore del dresscode imposto dalla repubblica di Vichy: di chiara matrice statunitense, vedeva protagonisti ragazzi dai capelli lunghi, con baffi curati, che indossavano pantaloni stretti dal taglio dritto e classico, ampie giacche portate aperte e scarpe dalla suola grossa cui faceva da corredo psicologico una sfacciataggine ed una vitalità da esprimere in balli movimentati su ritmi swing.

Questa moda, avversata all’epoca da grandi nomi tra cui spicca quello di Monsiuer Dior (  “(…) come moda la trovo repellente”), è ritornata oggi in auge: l’esempio più recente lo si è visto sul palcoscenico dell’ultimo Festival di Sanremo, addosso ad Aiello: pantaloni dritti dal taglio sartoriale, giacche sostituite da più fresche camicie abbottonate per metà, e grosse scarpe scamosciate dall’ampia suola.

Ciò che la moda riporta in auge, attingendo dall’iconografia zazou, è più che altro il mood psicologico: sfacciato, arrogante, bramoso di divertimento, forse come reazione ai grigi mesi della pandemia.

Ovviamente il tocco di modernità è dato dall’influenza dello street style: le stampe sono sgargianti, o quantomeno elaborate, trovando ispirazione nei damaschi veneziani e fiorentini; gli accessori brillano e si fanno notare, e soprattutto baffi e capelli, qualora non lunghi, sono accuratamente spettinati.

Il risultato odierno aggiunge un tocco dandy al moderno Zazou, che non vede l’ora di uscire di casa, ed esibirsi nel palcoscenico della quotidianità.